PUO’ UN VESTITO CAMBIARE IL MONDO?

Noi alunni della terza A, nell’ambito delle attività di Educazione Civica, abbiamo affrontato, con la professoressa di italiano, un tema molto interessante e di cui quasi mai si parla: quello dei danni ecologici generati dall’industria dell’abbigliamento.
Questo lavoro mi ha coinvolto profondamente e ho deciso di impegnarmi al meglio per far conoscere e comprendere i problemi generati dal fenomeno della fast fashion.
Chissà se riuscirò a far pensare anche i miei lettori…
La moda corre veloce e, purtroppo, nella maggior parte dei casi, ci spinge ad acquistare in modo compulsivo indumenti di bassa qualità e a costi ridicoli, che allietano molte persone nel mondo. Questo sistema, che ormai è sempre più diffuso, nel tempo, ha dato vita al fenomeno della fast fashion.
Questa pratica di marketing prevede l’acquisto di capi di abbigliamento a costi bassi da scartare rapidamente, in modo che possano essere sostituiti con le nuove collezioni, per rimanere sempre al passo con i ‘trend’ del momento.
Questo meccanismo, anche se potrebbe sembrare positivo, soprattutto a noi giovani, in realtà porta ad avere un impatto negativo sull’ambiente e, di conseguenza, anche sul cambiamento climatico.
Il termine fast fashion rimanda appunto ad un concetto di moda veloce, che non va di pari passo con il futuro sostenibile di cui tutti parlano, ma porta a delle conseguenze che gravano sull’ecologia e sulle persone.
Vi siete mai chiesti dove vanno a finire i capi che indossiamo, ma che scartiamo così velocemente?
Quando li doniamo alle associazioni che si occupano di beneficenza, la maggior parte di questi (circa il 70 per cento) vengono spediti in Africa, per essere venduti nei mercatini locali.

In Kenya e Senegal, per esempio, è molto diffusa questa forma di mercato: i commercianti acquistano, per rivenderli sulle loro bancarelle, una grande quantità di vestiti di seconda mano all’interno di grandi imballaggi, di cui non si sa l’origine e nemmeno lo stato in cui si trovano. Sembrerebbe trattarsi di un destino nobile e sostenibile, se non fosse chei negozianti sono, nella maggior parte dei casi, costretti a buttare una grande quantità di vestiti in enormi discariche prive di qualsiasi tipo di gestione, perché li ricevono rovinati o, più semplicemente, sporchi.
Con il passare del tempo, i rifiuti tessili si accumulano ovunque: nei corsi d’acqua, nei campi e per le strade e compromettono non solo l’ambiente e, in particolare la qualità dell’acqua e dell’aria, ma soprattutto la salute
della popolazione, prima di tutto quella dei bambini.
Dal mio punto di vista, posso dire onestamente che non ero per nulla a conoscenza di questa forma di inquinamento ed è proprio per questo motivo che trovo che ci sia un problema di fondo: pochi ne parlano e
coloro che comprano (e poi scartano e donano) spesso non sanno.
Sono convinta che, se fossero più conosciuti il processo e le conseguenze che ci stanno dietro, la maggior parte delle persone farebbe più attenzione, me compresa. Come tanti, amo seguire la moda e mi piace scegliere i miei capi di abbigliamento sulla base delle nuove tendenze e, sinceramente, solo ora mi rendo conto di ciò che provocano, di quanto sta dietro tutto ciò che noi utilizziamo ogni giorno e compriamo abitualmente, senza la minima preoccupazione.
A scuola si dà enormemente spazio all’inquinamento provocato dallo smog, dai mezzi di trasporto e dai rifiuti, giustamente, ma, per quanto riguarda la mia personale esperienza, non avevo mai affrontato il tema dell’inquinamento tessile.
Nel mio piccolo, posso dire che, dopo esserne venuta a conoscenza, il mio interesse è cresciuto, mi sono informata e ho cercato di pensare alle possibili soluzioni che potremmo trovare insieme, perché è un problema che ci riguarda tutti e quindi tutti dovremmo informarci e responsabilizzarci per migliorare riguardo alle scelte che prendiamo quotidianamente.
L’industria tessile e dell’abbigliamento è la fascia industriale che si occupa della produzione di tessuti. Dalla materia prima al prodotto finito, sono moltissimi i passaggi richiesti: ognuno di questi processi ha un impatto
ambientale potenzialmente rilevante, sia per il grande consumo di risorse, sia per l’elevata quantità di inquinanti.
Bisogna considerare anche che, quando acquistiamo un capo d’abbigliamento ad un prezzo troppo basso, questo nasconde spesso lo sfruttamento di chi ha lavorato per realizzarlo.
Trovo molto nobile l’impegno degli imprenditori e delle persone che perseguono l’obiettivo comune di cambiare in meglio questa realtà e spero che sempre più persone capiranno quanto sia rilevante la nostra attenzione quotidiana a questo aspetto.
Da soli non si raggiunge l’obiettivo, ma, se ognuno di noi rappresentasse un piccolo pezzo di un puzzle, insieme riusciremmo a creare delle nuove abitudini che permetterebbero di raggiungere, piano piano, il mondo sostenibile che ricerchiamo.
Riflettendo, mi sono resa conto che tutti dovremmo utilizzare una bilancia immaginaria tra la moda e la sostenibilità, tenendo in considerazione il fatto che, se da una parte abbiamo un trend di vestiti che dura massimo una stagione, dall’altra c’è il nostro pianeta: è davvero così fondamentale vestire all’ultima moda?
Senza considerare il fatto che, anche non comprando in negozi fast fashion, possiamo creare il nostro stile e indossare ciò che più ci aggrada o che ci fa sentire a nostro agio.
Perché, quindi, non considerare la moda di seconda mano per ridurre lo spreco e l’inquinamento ambientale? Perché non spendere cinque minuti in più, quando acquistiamo dei capi, per scegliere marchi che si impegnano nella lotta per la sostenibilità ambientale e per garantire condizioni etiche a chi lavora? E ancora, perché non focalizzarci sull’acquisto di vestiti essenziali e di qualità che durano nel tempo?

Dopo essermi posta questi quesiti, in prima persona, giorno per giorno mi impegnerò a pensare a fondo prima di acquistare dei capi, soprattutto facendo attenzione alle politiche di mercato delle aziende di moda.
Voglio pensare e sperare che ci renderemo conto di quanto sia da persone indifferenti e menefreghiste, considerare il nostro ‘piacere istantaneo’ nel vestirci alla moda più importante di respirare un’aria pulita, preservare il nostro ambiente e la nostra ‘casa’…. Dopotutto, se non fosse così, sarebbero nostre anche le conseguenze che si verrebbero a creare.
Pensiamoci, ci conviene davvero?
Per chi volesse saperne di più: #whomademyclothes

Martina Pesenti

3 risposte a "PUO’ UN VESTITO CAMBIARE IL MONDO?"

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